MATTEO ORSUCCI -IL DOMENICALE

Come Stenio Solinas ci rivela che criticare il mondo di oggi ancora si può, anzi si deve.
«Viaggiare è utile, fa lavorare la fantasia. Tutto il resto è soltanto delusione e fatica», dice Céline nel Viaggio al termine della Notte. È un bel tribolare dover uscire dalla noia di tutti i giorni senza uscire di testa. Coi libri ci si possono fare tante cose: ignorarli, ficcarli in qualche scaffale di casa, magari usarli per tenere aperta la porta doppia del salone, quella che tende sempre a chiudersi. Sarà uno strano gioco del destino, però i libri si possono portare pure in viaggio, leggerseli sul treno che da Torino ti porta in Francia, o sull’aereo che fa rotta per l’India. Vagamondo di Stenio Solinas (Edizioni Settecolori, Lamezia Terme, pp.556; €20,00) è proprio questo tipo di libro. Non è la solita epopea del viaggio come metafora della vita, squallido ciarpame scolastico imparato a memoria e svuotato di senso. È piuttosto un libro per viaggiatori che fanno viaggi. È un libro antituristico, perché nel viaggio non c’è nulla di comodo, non c’è nulla di prestabilito e guai ad appiattirsi nella gratuità del sedersi sulle poltroncine di un charter e poi cominciare a guardare l’orologio, “Ma quando arriviamo?”, e tutte le domande cretine del caso.
Solinas non è solo un giornalista come non ce ne sono più: lui è inviato de il Giornale, ma è un inviato atipico, perché un reportage è sempre teso tra passato e presente, è cronaca dell’oggi ricordando pure la cronaca di ieri. Dunque l’India di oggi e quella del periodo coloniale, il paesaggio che comunque diventa parte integrante di chi vede e racconta. Una dimensione squisita e privata, ma proprio perché sentimentale capace di toccare vette di universalità uniche. Dall’Afghanistan col suo Medioevo meccanizzato fino al Kenya, da Gibilterra passando per la rive gauche, l’Irlanda di Bobby Sands e quella James Joyce, tutto precipitato nel vortice di suoni, canzoni, amori, occhi, partenze e ritorni che fanno parte di questo starci al mondo.
È un libro voluminoso e a nessuno oggi verrebbe in mente di portarselo nel bagaglio a mano, per tirarlo fuori e mettersi a leggerlo. Figuriamoci. Meglio una copia di qualche tormentone da classifica dei libri per il turista odierno, questo lettore compulsivo di Repubblica. Però il libro di Solinas è in buona sostanza un antimanuale.
Qui dentro, non stanno soltanto “strette in trama” le ore di viaggio, gli scali da fare, i biglietti e i bagagli. Qui dentro c’è una critica a un mondo, quello di oggi, che ha perso il gusto e la capacità di andarsene in giro. Di guardare e scoprire, al diavolo le guide turistiche, al diavolo i turisti tutti. Ci sono gli occhi della Blixen, di D’Annunzio a Fiume, di Koestler, di Gary, tutte le loro pagine, tutte le loro vite. C’è una prosa, quella dell’autore, che incanta e dilata il tempo. Leggendolo viene voglia di smettere e partire. Ne Il vecchio e il mare Hemingway ha scritto: «Non è mai andato a caccia di tartarughe. È questo che uccide gli occhi». Oggi siamo messi molto peggio prenotando last minute.