PAOLO ISOTTA – CORRIERE DELLA SERA.

V’è un tema che ricorre costante nella produzione letteraria di Robert Brasillach cosi come nelle sue scelte politiche: quello della giovinezza. Se Drieu La Rochelle aveva visto nel fascismo l’unico modo per opporsi alla decadenza del mondo, Brasillach, al contrario, vi scorse l’unico modo per essere nel mondo: egli lo sentiva nella sua componente vitalistica, gioiosa e, per l’appunto giovane.

Questo spiega, o meglio ci fa sembrare naturale perché allo «splendore del fascismo universale della mia giovinezza», com’egli scriverà nella “Lettera a un soldato della classe ’40”, Brasillach non potesse sopravvivere. Pur amando la vita, ne era perfettamente consapevole.

«Quelli che muoiono poco dopo i trenta non sono consolidatori ma fondatori. Portano al Mondo lo scintillante esempio della loro vitalità, delle loro conquiste. Frettolosamente, accennano qualche strada al lume della loro gioventù sempre presente. Abbagliano, interpretano, meravigliano… danno la fiamma, l’avvenire. Non si immaginerebbe Alessandro, vecchio e saggio, legislatore dell’Oriente: la sua parte sta nel mettere di fronte l’Occidente e l’Oriente. Dopo di che, sbrigatevela da voi. Tali sono gli esseri che scompaiono prima delle menomazioni, prima dell’equilibrio, prima della riuscita. Non sono venuti a portare nel mondo la pace ma la spada». (‘Les sept couleurs’).

Com’è noto, Brasillach morì fucilalo a 36 anni. Tuttavia, il tema della giovinezza non è da lui trattato o visto come un eterno rimpianto. Oltre che un’età, è un modo di essere, di vivere. E’ un’estetica, non uno stato anagrafico. «Camme le temps passe», che ora esce in italiano sotto il titolo de «La ruota del tempo» (Edizioni Settecolori) con una bella prefazione di Stento Solinas, ha per soggetto esattamente questo: la giovinezza, il sottilissimo diaframma che la divide dall’altra età in cui è destinata, in quasi tutti, a trasformarsi. La storia in sé è dimessa: due ragazzi si amano, si sposano, per un malinteso cedimento si abbandonano, infine si ritrovano. Nel corso di quest’arco di tempo hanno le loro avventure, mettono al mondo un figlio, reincontrano persone e cose che il trascorrere degli anni a poco a poco modifica. Nella loro esistenza, passato, presente e futuro, grazie anche al tipo di costruzione scelta dall’autore, convivono: non v’è stacco ma continuo rimando, un tipico gioco a incastro ch’è uno degli espedienti ricorrenti nella narrativa di Brasillach.

Una sorta di febbrile urgenza di trasferire nella pagina la vita nel suo scorrere, nel suo esserci, prende il posto in lui dell’ascetica dedizione alla forma letteraria che altri scrittori, in apparenza non meno vitalisti (Celine) ereditano dalla tradizione flaubertiana … forse perciò questo generoso, questo amabile fra i narratori è grande ma non grandissimo. Grazie alla struttura, il romanzo è si la storia dell’educazione sentimentale di un figlio un po’ bohémien dell’Ottocento; attraverso di essa si possono anche comprendere i tic e i tabù di una società che sarebbe scomparsa con la Grande Guerra. Quello che vi seguirà il protagonista René Cortade non lo sa: tuttavia nel suo diario di guerra, in cui quest’ultima viene vista come un viaggio, vi sono tutti gli elementi per comprendere il nuovo mondo che sta per apparire.

«La ruota del tempo» non è un romanzo politico: è ne «I sette colori» che Brasillach tenterà questo esperimento. Ciò non toglie che sia un romanzo ideologico: antiborghese, antiegualitario, antipacifista. E profondamente autobiografico: la mitica infanzia Brasillach l’aveva vissuta a Canet (la Pollensa del romanzo) e nelle Baleari; l’esperienza parigina è ancora quella del liceale Robert; «La Figura» è l’illusionista Caroly che l’autore conobbe quando, insieme con  Maurice Bardèche, preparava la sua «Histoire du cinéma» sulla quale si regge il secondo capitolo; e cosi via; il tutto visto attraverso la lente d’un realismo magico in certi casi percorso da brividi di quasi insostenibile felicità per il sol fatto di sentirsi vivere.

Corriere della Sera