MASSIMO ONOFRI -AVVENIRE.

Arriva in libreria, per la casa editrice Settecolori, un libro insolito: l’ultimo di Peter Hopkirk, morto a Londra nel 2014 a 84 anni, l’autore di Diavoli stranieri sulla Via della Seta. La ricerca dei tesori perduti dell’Asia Centrale (1980), Alla conquista di Lhasa (1982), Il Grande Gioco. I servizi segreti in Asia centrale (1990), tutti pubblicati da Adelphi. Si tratta di Sulle tracce di Kim. Il Grande Gioco nell’India di Kipling (pagine 288, euro 26), apparso nel 1996, tradotto da Giuseppe Bernardi, con postfazione di Robert Jordan. La casa editrice Settecolori nata a Milano alla fine degli anni Settanta grazie a Pino Grillo, ha pubblicato – per citare solo gli stranieri – scrittori radicalmente anticonformisti, politicamente scorretti, decisamente dalla parte del torto, non di rado volontariamente discostanti, ma irrequieti e liberi, come Robert Brasillach, Alain de Benoist, Pierre Drieu La Rochelle, Jean-Jacques Langendorf (per febbraio, tra l’altro, è atteso il mastodontico capolavoro d’un altro dannato come Lucien Rebatet, condannato per collaborazionismo, ovvero I due stendardi, romanzo molto amato da George Steiner).

Dopo la scomparsa del fondatore l’azienda è passata nelle mani del figlio Manuel, sostenuto oggi da un nuovo staff con un programma decisamente ambizioso, mentre la direzione editoriale è stata affidata a Stenio Solinas, scrittore coltissimo e senza briglie, tra i più originali della letteratura italiana contemporanea: il che, per i lettori curiosi e senza pregiudizi ideologici, è una sicura garanzia. Un obiettivo prioritario: l’attenzione a libri mai pubblicati in Italia o da molto tempo non più in circolazione, con una predilezione per il travel writing anglosassone e la letteratura d’oltralpe, tedesca in particolare, ma sempre su strade impervie, riluttanti a ogni massificazione (pensiamo, per fare un esempio, all’annunciato La fionda di Ernst Juenger). Un altro
impegno è rivolto al recupero degli scrittori italiani dimenticati, se non rimossi: fa testo, in tal senso, lo spazio già concesso a uno scrittore come Giuseppe Berto, che molto patì un certo ostracismo culturale, dovuto a uno scontro con Aberto Moravia. Senza dire – ed è fatto da accogliere con entusiasmo – dell’apertura verso la letteratura
ispanoamericana, ma per sferragliare decisamente oltre i binari logori del “realismo
magico”. È anche prevista, sempre al di fuori dei canoni ideologici correnti, una collana dedicata ai classici.

Ma torniamo a Sulle tracce di Kim. Il Grande Gioco nell’India di Kipling: per dire che, in gloria d’una concezione secondo cui la letteratura e la vita sono le due facce d’una stessa medaglia, Peter Hopkirk si mette sulle tracce d’un personaggio certamente d’invenzione, il Kimdi Rudyard Kipling, e cioè un povero orfano che verrà poi reclutato nei servizi segreti, ma lo fa, Hopkirk, col fine del viaggiatore di vocazione, in modo da restituirci un’immagine e un sentimento realissimi dell’India, quella, appunto, implicata nel “Grande Gioco” (termine reso celebre dallo stesso scrittore), ovvero il conflitto politico tra la Russia e l’Impero Britannico alla fine dell’Ottocento per il dominio dell’Asia centrale, dentro una storia da intrigo spionistico internazionale. Al di là del referto, diciamo così, oggettivo del viaggio, quel che colpisce del libro di Hopkirk è la sua qualità beatamente romanzesca, evidente sin dalle prime righe del libro: «La pallottola del cecchino tedesco, intesa a uccidere un giovane ufficiale francese nella Prima guerra mondiale, andò invece a infilzarsi in un libro che egli portava nella tasca interna».
E ancora: «Era una traduzione francese di Kim. Con un senso di grande riconoscenza, il militare inviò a Kipling il volume assai malridotto, con il foro che attraversava tutte le pagine eccetto le ultime venti». Come quel soldato, anche Hopkirk aveva un debito col Kim. E tale da mutare “l’indirizzo” della sua vita. Scrivere queste venturose pagine è stato il suo originale modo di ripagarlo.