Seguendo in India le tracce di Kim scopri che il Grande Gioco non è mai finito

CESARE MARTINETTI – TUTTOLIBRI.

Quando si dice Grande Gioco molti pensano a una partita a scacchi, metafora della partita che si consuma ogni giorno sulla scacchiera geopolitica del pianeta. E invece, il capitano Arthur Conolly dei servizi segreti inglesi che inventò questa espressione, si riferiva al rugby, quel «grande e nobile gioco» che consiste nel raccogliere una palla ovale e correre correre correre tenendosela stretta. La sua corsa è finita nel giugno del
1842, sulla piazza principale di Bukhara, Uzbekhistan, dov’è stato decapitato per ordine dell’emiro locale insieme al colonnello Charles Stoddart. I due erano in missione diplomatica per costruire un argine di alleanze con i khanati dell’Asia centrale contro l’espansionismo dello zar di tutte le Russie che gli inglesi vedevano
come una minaccia diretta all’India, il cuore dell’impero coloniale britannico. Prima
di morire, con la fierezza dell’ufficiale e la serenità del missionario, Conolly fece in tempo ad inviare un messaggio a uno dei suoi: «Ti trovi di fronte a un grande e nobile gioco».
Una cinquantina di anni dopo, è stato Rudyard Kipling a solennizzare quell’espressione e a renderla immortale. Nel suo romanzo più celebrato e più letto, Kim, pubblicato nel 1901, viene usata 36volte! Il Grande Gioco, nel senso letterale
del termine e cioè per come si era sviluppato lungo i sessantatré anni di regno della
regina Vittoria, si ritiene ufficialmente concluso nell’agosto del 1907 quando venne
firmata una Convenzione anglo-russa che mise fine all’enigmatica contesa sull’Asia centrale. Ma si può anche pensare che non sia mai finito. Già Lenin puntava a liberare l’India britannica. Mutati i protagonisti e cambiati gli obbiettivi, l’Afghanistan che di quel gioco è stato il cuore geografico e simbolico, è tuttora snodo politico cruciale, teatro dell’ultima guerra espansionistica sovietica (1979), infine culla del più ardito attacco militare agli Stati Uniti (11 settembre 2001) che negli anni si erano sostituiti
al decaduto impero britannico in potenza ed influenza.
C’è dunque qualcosa di sempre attuale sul piatto di quel Grande Gioco, detto altrimenti la “guerra fredda della regina Vittoria” per evocare il permanente confronto
Est-Ovest. Rileggere Kipling è anche un modo per tenersi al passo con i tempi. Il libro di Peter Hopkirk Sulle tracce di Kim, pubblicato per la prima volta in
Italia dalle Edizioni Settecolori, ci consente di rivivere quel mondo, grazie a un vivacissimo reportage letterario.
Hopkirk, nato nel 1930 a Nottingham e scomparso sei anni fa, è l’autore del Grande Gioco (uscito in Italia nel 2004 da Adelphi). Dopo aver trascorso una vita sui sentieri aperti dal coraggioso capitano Conolly, come scrittore e giornalista inviato di The Times in Asia centrale, si è messo sulle tracce di Kim. Quest for Kim è stato pubblicato in Gran Bretagna nel 1996; The Great Game era invece uscito
per la prima volta nel 1990. E’ davvero esistito il protagonista del romanzo
di Kipling? Hopkirk ci porta sulle impronte del giovanissimo avventuriero Kirn, reclutato dall’intelligence britannico per intercettare e smascherare gli esploratori
inviati dallo zar. Quelle tracce si incrociano con la biografia di Kipling. E naturalmente con quelle dello stesso Hopkirk che nelle prime righe del libro confessa di aver tenuto sempre con se una copia di Kim, letto per la prima volta quando aveva tredici anni, come il protagonista del libro di Kipling: «Ero ben lontano dal capire, volevo saperne di più e la ricerca sarebbe durata tuttala vita».
«Nero come un tizzo, non meno degli indigeni … bianco fra i più poveri bianchi»,
Kim era figlio di un sergente portabandiera irlandese e della bambinaia di un colonnello inglese. Morta lei di colera, lui di alcol e oppio, era cresciuto come un indigeno. E come il suo eroe, Kipling era nato nel 1865 a Bombay da genitori inglesi
ed era stato cresciuto da permissivi domestici indiani che gli avevano dato lingua
e famigliarità con quel mondo.
Le sovrapposizione però finiscono qui e Hopkirk ci dà conto di almeno due possibili
modelli in carne ed ossa rintracciati sul campo per il personaggio di Kim. E così anche degli altri protagonisti del romanzo. Il santone tibetano che Kim accompagna nel viaggio alla ricerca del fiume sacro dove cadde la freccia di Budda; il mercante di cavalli afghano Mabhu Ali e soprattutto del colonnello Creighton, capo dei servizi segreti britannici in India, l’uomo che avrebbe modellato il destino di Kim, il tessitore del Grande Gioco, che Hopkirk identifica con Lord Roberts di Kandahar, comandante supremo dell’Indian Army negli anni in cui Kipling fu reporter a Lahore della Civil and Military Gazette.
Variamente bersagliato nel corso degli anni dall’accusa di «cantore dell’imperialismo
» ed espressione della superbia razziale britannica, attraverso l’inchiesta di Peter Hopkirk, Kipling e il suo Kim ritrovano in questo libro un riconoscimento pieno della felicità narrativa.