Drieu, Aragon Malraux Le amicizie impossibili

MASSIMO RAFFAELI – IL VENERDI’ di REPUBBLICA. 4 FEBBRAIO 2022

Maurizio Serra traccia la parabola di tre intellettuali francesi – un fascista, un comunista, un gaullista inquieto. E riflette su grandezze e miserie dell’era delle ideologie.

Alle vere e proprie religioni politiche che caratterizzano il Novecento, le ideologie, corrisponde nella letteratura un esplicito mandato sociale agli scrittori che alcuni storici retrodatano agli esiti della Comune e altri invece fissano nel celeberrimo J’accuse! di Zola che esce nel 1898, essendo la Parigi di allora non soltanto un epicentro geopolitico ma, come la definì un filosofo, tout court la capitale del secolo XIX. Proprio qui, nell’ultimo scorcio di quello che i reazionari dissero invece (e in testa Léon Daudet) il secolo “stupido” e a rimorchio della civiltà dei Lum i , p r e n d e corpo la figura dell’artista engagé, lo scrittore impegnato, colui che rigetta la condizione solitaria e emarginata dei Decadenti e sceglie di legarsi a un credo, a un’organizzazione, a un partito che funga sia da committente sia da mediatore verso un pubblico di militanti, secondo una dinamica che potrà dirsi conclusa solo con la fine della Guerra Fredda.
È il caso, davvero proverbiale, di alcuni scrittori francesi le cui parabole Maurizio Serra associa e intreccia alla maniera di un diorama politico-intellettuale in Fratelli separati. Drieu-Aragon-Malraux. Il fascista. Il comunista. L’avventuriero (pp. 323, euro 26.00), uno studio riproposto, con una nuova prefazione, a quattordici anni dalla prima uscita nelle edizioni Settecolori. Gli autori esaminati presentano vistose intersezioni tra loro: sono tutti di estrazione borghese e nati a cavallo dei due secoli, hanno partecipato alla Grande Guerra (ad eccezione di André Malraux, che è il più giovane), hanno aderito ai movimenti d’avanguardia del Dadaismo e del Surrealismo (e Malraux fa ancora eccezione, stavolta per temperamento), sono stati in rapporto di amicizia (prima che Louis Aragon si sottraesse), sono infine approdati nei pieni anni Trenta a un’esplicita scelta politica, pure se disegno molto differente.
Dirà Aragon che la sua, la loro opera letteraria senza le date sarebbe incomprensibile ai posteri. E infatti l’ex dandy surrealista aderendo al bolscevismo pubblica nel ‘31 Front rouge, un poemetto che invita alla sovversione violenta dell’ordine costituito e all’assassinio politico, tanto che L’Humanité, l’organo del Pcf, è indotto a sconfessarlo, mentre l’altro esteta, Pierre Drieu La Rochelle, autore dello splendido racconto Fuoco fatuo (’31), esce a destra dai surrealisti pubblicando nel ’34 Socialismo fascista (’34) in cui la distanza dal comunismo come dall’americanismo lascia tuttavia intravedere una opzione evidente soltanto due anni dopo, quando Drieu si iscrive al Ppf dell’ex comunista Jacques Doriot, una formazione dichiaratamente fascista.
Per parte sua Malraux, già autore di grido per un libro-verità sul colonialismo in Indocina quale La condition humaine (‘33), flotta tra comunisti e radicali di sinistra partecipando alla Guerra di Spagna dove ha un ruolo di primo piano e forma la leggendaria Esquadrilla España. È il decennio di ferro, gli anni Trenta, ad accelerare le esistenze rispettive tra il tentato golpe delle destre del febbraio ’34 e il Fronte Popolare, tra la Disfatta, l’Occupazione e l’epopea del Maquis. Aragon entra in clandestinità e scrive in perfetti alessandrini gli inni alla Resistenza e le lodi alla patria sovietica nello stile oratorio, edificante, che intacca la più parte dei suoi troppi libri specie da quando nell’immediato dopoguerra sale ai vertici del Partito; mentre André Malraux, il più inquieto e imprevedibile, entra in France libre e presto accede all’Eliseo, più volte ministro, fra gli intimi del generale De Gaulle. Viceversa Drieu ha la parte del capro espiatorio perché, fervido collaboratore dei tedeschi, anche se molto più raffinato e meno sfacciato di un Basillach o di un Rebatet, il suo servilismo sotto l’Occupazione lo induce ad accettare la direzione di una Nouvelle Revue Française” ormai redatta in camicia bruna: alla Liberazione, ricercato sulla base dell’articolo 75 (intelligenza con il nemico), Drieu si suicida affidando al proprio diario i motivi di un antico velenoso rancore insieme con l’arido corrispettivo di tutte le sue irresolutezze.
Serra, che è uno storico delle idee e degli intellettuali oltre che un biografo, qui riprende il nucleo di un suo lavoro giovanile (L’esteta armato. Il Poeta-Condottiero nell’Europa degli anni Trenta, il Mulino 1990) e lo sviluppa in un racconto a maglie strette utilizzando documenti sempre di prima mano e una bibliografia plurilingue che può dirsi esaustiva. Così congeda il suo studio: «La parabola dei fratelli separatisi chiude nella impossibilità di far coincidere libertà dell’arte e militanza di partito. Indica grandezze e servitù di una figura cara al Novecento, quella dell’intellettuale impegnato, che ha liberato energie critiche ma anche prodotto molti danni nella lunga guerra civile europea». Anche se lo studioso motivatamente si sottrae al giudizio letterario, ne consegue che quanto resta di quegli scrittori è proprio la contraddizione tra ciò che erano nella realtà e ciò che invece volevano essere per adesione e/o per obbedienza ideologica: e non è neanche poco, se pensiamo alle pagine che ne sono testimonianza quali il testo terminale di Drieu, il Racconto segreto, o il tardo bellissimo romanzo di Aragon, Bianca o l’oblìo (mai riproposto da Mondadori nonostante la versione di Giovanni Raboni) o infine le estreme tormentate pagine del Museo immaginario, il testamento intellettuale di Malraux.
In proposito, ci sono versi di Louis Aragon dedicati alla compagna della sua vita, la scrittrice Elsa Triolet (firmataria del bellissimo Gli amanti di Avignone, nonostante Serra voglia liquidarla), che danno il senso di parabole infrante, di esistenze andate a male, ma nel frattempo richiamano un impulso, uno slancio ideale che non fu solo obbedienza, cecità, vuota retorica: questi sono infatti versi di un grande poeta, «Ci eravamo divisi l’aurora come un pane/ fu dopo tutto una stupenda primavera/ tutte le ragioni tutti i torti non contano».

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