Leggere Umbral è come vedere un film di Almòdovar.

La scrittura di Umbral è per gli spagnoli come una droga.
È la loro dose quotidiana.
Pedro J. Raminez, direttore di El Mundo

Una lingua inedita in grado di scandagliare l’intimità, un’esplorazione radicale dell’ego che ama le proprie alterità o le inventa. Il miglior cronista e memorialista della Spagna del suo tempo.
Gabriele Morelli

La notte che arrivai al Café Gijon racconta i tempi eroici, nel fumo delle tertulias. Nasce lì la leggenda di Umbral.
Raùl del Pozo

Negli anni Sessanta della Spagna franchista, il Café Gijón era una specie di parlamentino letterario, dove si facevano e si disfacevano le reputazioni degli scrittori, si tenevano a battesimo quelle dei pittori, si aggiravano toreri e avvocati, generali in pensione, ex repubblicani usciti dal carcere e poeti maledetti, qualche alcolizzato e un po’ di malavita. C’erano anche le attrici, spesso scambiate per puttane, e le puttane, spesso scambiate per intellettuali. Quando Francisco, Paco per gli amici, Umbral sbarcò in quel caffè una notte di sabato, non aveva trent’anni e nemmeno una macchina per scrivere, nonostante si fosse autopromosso «periodista». Il Gijón divenne subito il suo porto: «Sapevamo che per le strade di Madrid non eravamo nessuno e tutti andavamo al Café Gijón per sentirci qualcuno». Così, questo libro è il racconto di un’età mitica, quando lentamente, sospettosamente, la Spagna comincia ad aprirsi alla modernità, la dissidenza politico-ideologica fa timidamente capolino fra il fumo dei sigari e il tintinnare della copitas di cava, cinema e letteratura cominciano a farsi conoscere al di fuori dei confini nazionali e il tutto ha un senso di nuovo, la fine di un dopoguerra durato troppo a lungo. Con una prosa spontanea e precisa, irrispettosa e arbitraria, poetica e allegra Umbral racconta un tempo e un Paese.


Prima edizione italiana
Traduzione: Giuliana Calabrese
Prefazione: Carlos D’Ercole
Postfazione: Gabriele Morelli