Convinto che i tedeschi fossero un argine al comunismo, lo scrittore fu fucilato per collaborazionismo In un giallo “autobiografico” tratteggiò un quadro spietato del Paese, fra deserto morale e corruzione

Cominciamo dalla fine. Robert Brasillach venne fucilato il 6 febbraio 1945 dopo un sommario processo dalla Francia di De Gaulle, ansiosa di cancellare le proprie vergogne. Era accusato di vari crimini collaborazionisti. Aveva creduto che la civiltà europea dovesse essere protetta dal comunismo e che i tedeschi fossero un giusto argine. Si era sbagliato (e alcune cose brutte le aveva fatte davvero). Ma preferì l’onore all’arte di voltare gabbana come tanti fecero in quei giorni drammatici. Svariati intellettuali firmarono una petizione per chiedere la grazia, ma non vennero ascoltati. Dopo l’esecuzione fu dannata anche la sua memoria. E fu gran peccato perché uno dei migliori scrittori di Francia è sopravvissuto solo nelle pubblicazioni semiclandestine della destra estrema. Ora Settecolori offre la possibilità di scoprire Sei ore da perdere, un piccolo capolavoro, travestito da romanzo poliziesco, ma in realtà spietata ricognizione nella Francia di Vichy.
Il protagonista (autobiografico), Robert B., ha trascorso 40 mesi in un campo tedesco come migliaia di altri soldati francesi imprigionati dopo la disfatta nel Blitzkrieg. Finalmente è libero di tomare in patria. Arrivato nella Parigi occupata, trova una città diversa da quella che ricorda. Strade deserte, a parte i ciclotaxi trainati a forza di gambe perché il carburante scarseggia. Vetrine vuote. Quasi più niente da bere nei bar. Restano solo le donne a vivificare il paesaggio urbano, con i loro profumi, colori, l’eleganza che non cede alla penuria. Nel suo taccuino grigio, timbrato con l’aquila, Robert B. ha un’ottantina di indirizzi cui recare notizie dei famigliari in prigionia.Tra i tanti sceglie una misteriosa ragazza vista in una foto sbiadita, «conosciuta» attraverso le nebbiose confidenze fatte da un camerata tra il filo spinato della Westfalia che ha passato con lei dieci giorni di una licenza. L’ha amata. Le ha scritto lettere senza mai ricevere risposta. E vorrebbe riaverla.
Robert B., che ha sei ore di tempo prima di prendere il treno per la provincia, rintraccia Marie Ange in una pensione. E malto diversa da come se l’era immaginata. Decisa, forte, volitiva, tutt’altro che fragile. E soprattutto legata a un uomo appena trovato cadavere vicino alla frontiera belga in un camion pieno di merci di contrabbando. Un vecchio poliziotto che sta seguendo il caso consiglia di lasciar perdere quella piccola donna misteriosa. C’è il rischio di finire in una storia poco gradevole. Ma Robert B. s’incaponisce e indaga in una città cupa, tinta con i colori violenti dei nuovi tempi confusi, marci e violenti, perché l’armistizio ha dato la stura ai sentimenti più vili.
Brasillach, che pubblicò a puntate questo giallo su Révolution nationale, organo della propaganda petainista, offre un quadro spietato della Francia sconfitta in cui il senso d’umanità traballa e ci si arricchisce con traffici d’ogni genere (dalla saccarina alla droga). Dei tedeschi occupanti Brasillach parla poco. Non gli fa piacere vederli sui Champs-Elysées. Ma non sono loro il problema. Anzi, li dipinge come carcerieri corretti e cavallereschi (restituiscono fino all’ultimo franco i denari sequestrati al momento dell’internamento e ammirano i prigionieri scaltri che riescono a fuggire). I soldati della Wehrmacht sono colti nella loro umanità: sotto la divisa, ne registra debolezze, lacrime, sofferenze. È verso la «sua» Francia che Brasillach è spietato. Vede il deserto morale intorno a sé. Avidità, delazioni, malvagità, perversioni nascoste per amore della rispettabilità. I comandanti tedeschi sono talmente disgustati dalle denunce che spesso arrestano i calunniatori. Ognuno per sé e dio contro tutti. Certo, ci sono i giovani, pieni di ideali. C’è chi si arruola per combattere il bolscevismo. E chi invece crede sia meglio corteggiarli sti comunisti perché probabilmente vinceranno la guerra ( anche se persiste nel cuore, ben nascosto, «il santo terrore che vengano a dissotterrare i pezzi d’oro nascosti in giardino»). Tanti idealisti parlano di rivoluzione, ma ciò che accade in Russia è terribile. Dieci anni prima di Krusciov, Brasillach denuncia gli orrori dello stalinismo, le faide tra diverse fazioni marxiste. Ci sono anche i partigiani che fanno la loro guerriglia. Dicono di combattere per la libertà della Francia. Per Brasillach sono solo banditi che taglieggiano i commercianti, compiono attentati vigliacchi sulle soglie di casa, regolano conti personali, lavorano in combutta con i peggiori trafficanti del mercato nero per intascare soldi. Perché in quei tempi balordi si uccide per il proprio tornaconto, per avere un po’ di più da mangiare, per invidia. Per cambiare casacca in fretta, quando è ormai chiaro chi saranno i nuovi padroni. E soprattutto per rendere omaggio al dio denaro. All’onnipotente plutocrazia che passa indenne attraverso qualsiasi guerra. Anzi, approfitta dell’orrore per arricchirsi ancora di più.
I misteri della giovane donna, insomma, scoperchiano un lombricaio. Che Brasillach descrive preciso e spietato. Non però con l’occhio noioso del moralista, bensì con il cinismo amorale del narratore che sa che le meglio storie vengono fuori dal torbido. «Come sarebbe divertente tra cent’anni scrivere una storia dell’occupazione tedesca», dice ad un certo punto con l’acume che lo caratterizzava (aveva talento in tutto, dall’invettiva giornalistica alla critica cinematografica). La storia invece venne scritta a caldo dai vincitori che individuarono con sdegno perentorio i nemici, mostri, il male assoluto, cancellando la miseria umana ben distribuita in tutti i francesi . Succede sempre fin dai tempi della Bibbia quando le guerre finiscono. La gente scomoda come Brasillach viene sbrigativamente passata per le armi perché è rassicurante archiviare il passato nelle liste dei buoni e dei cattivi. E di capri espiatori, ahimè, c’è sempre un gran bisogno.