PIETRANGELO BUTTAFUOCO – IL FOGLIO.

A inseguire le sue tracce si finirà per lasciarselo sfuggire. A studiare le sue mappe si vedranno immancabilmente sbiadire le mete – luoghi, paesaggi, crocevia di appuntamento con desiderabili compagni di viaggio – che si era lì per raggiungere. Ma la svagatezza e la sorpresa, l’imprevisto e l’impossibile rientrano nelle intenzioni e negli itinerari di un “vagamondo”. Specie se volonterosamente – anzi di più, con lo scrupolo a e la coscienziosità di un mandato professionale – il “vagamondo” si impegna a esplorare le zone dove vagano i fantasmi e le vestigia di un mondo che carte geografiche o cronache giornalistiche faticano a registrare.Da giornalista tuttavia, sia pure specialissimo, è là che si è ritrovato a vagare nell’ultimo quindicennio Stenio Solinas. Da inviato speciale, partito per riportare nell’effimera attualità del quotidiano (nel senso del giornale di oggi, quello con la G maiuscola e senza aggettivi) anomalie, anacronismi e contrattempi inattuali, storicamente rétro, stilisticamente démodé che per una beffa della storia e un gioco dello stile clamorosamente fanno notizia. Per dire: l’ultima colonia arroccata a Gibilterra sull’orlo delle colonne d’Ercole e oltre il limite temporale della decolonizzazione. L’ultimo feudo preservato e presidiato a Kabul come roccaforte di un medioevo tecnicizzato (e armato di kalashnikov) nel cuore del XXI secolo. Gli ultimi avatar degli eroi delle epopee indiane proiettati come un miraggio sugli schermi di Bollywood in una Bombay che, ribattezzata Mumbay, a rigore di toponomastica non esiste più. E ancora: l’impeto estremo di un cavaliere da leggenda, il gaucho delle pampas, che moriva nella storia per rinascere in letteratura e consegnare l’Argentina alla modernità. Le curve delle ballerine cubane fiaccate e cascate sotto il regime castrista. I reperti dell’impero cinese ripescati in extremis dalla memoria storica e commutati dai “chuppies” (leggi yuppies con gli occhi a mandorla) in un combinato di business più arte.

Non sarà (solo) un nostalgico per inclinazione, né per professione ideologica un conservatore il tipo che si mette in gioco, in viaggio e in cerca di simili cimeli: fossili viventi, o esemplari sopravvissuti al loro tempo per una legge segreta della riproduzione della cultura e delle  civiltà. Più che reporter, scrittore di reportage, più che cronista o viaggiatore, “vagamondo”, l’autore e protagonista di questi racconti (nati come articoli e diventati, crescendo, dei “saggi”: in tutto sono una sessantina) si trova naturalmente in buona compagnia.

Lo accompagnano per un’intima attrazione e affinità “ceux-là qui partent pour partir”. Personaggi baudelairiani il cui gesto di andarsene vale come un invito malinconico a trattenerli o inseguirli chissà dove. Cumpar Segundo e il “Beau” Brummell: l’ombra lunga, cioè, del cavaliere criollo, incisa in perpetuo nel romanzo di Guiraldes, e la linea inarrivabile di un maestro di eleganza, dettata una volta per tutte a stilisti e fashion victims dal Lord che fu prototipo del dandy. Greta “la divina” e la mortale bellezza di Diane Arbus: “Noncurante, incredula, fragile”. Il volo di Saint-Exupery “sulle ali di una matita” e quello di D’Annunzio “fuori dal finestrino”.

E’ là che, vagando per il mondo sul vagone di un treno, “Forse che sì forse che no” nella cartella, Solinas ha l’impulso di scagliare “il suo romanzo dell’aria”, campione di “aerea prosa nazionale” e di un’“illegibilità pressoché totale”. Evviva. “L’omaggio commosso a un ‘come eravamo’ che non tornerà più” – scrive l’autore nell’inequivocabile dedica “A noi” – si concede a tratti una scrollata liberatoria dalla soggezione a miti e vati.

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