LUIGI MASCHERONI – IL GIORNALE.
La (ri)scoperta.
Un testo scritto da un autore eretico, sul peggiore dei peccati umani, prima «censurato», poi casualmente perduto, rimasto di fatto inedito per quasi cinquant’anni, e ora pubblicato, ma non ancora distribuito, da un editore a lungo ideologicamente snobbato, che qui a Torino non ha neppure uno stand, e che però organizza un presentazione-provocazione che ha come testimonial il peggior intellettuale non-conformista italiano… Ce n’è abbastanza per farne un libro-evento, e il meno adatto in assoluto al Salone. Quindi, imperdibile.
In un grande festival delle Vanità, dove tutti impazziscono per avere il proprio nome sulla copertina di un libro, leggersi sulle pagine dei giornali, apparire in tv e avere migliaia di follower, ecco un pamphlet d’autore che fa ironicamente a pezzi Presunzione, Egocentrismo e Gloria Effimera… È un meraviglioso Elogio della vanità (sottotitolo: Ovvero vediamo un po’ come siamo combinati malamente), scritto da Giuseppe Berto nella primavera del ’65 per quella che avrebbe dovuto essere la Strenna natalizia della Rizzoli. Berto pochi mesi prima aveva pubblicato Il male oscuro, romanzo di cui stava – vanitosamente – assaporando le fortune mediatiche. Insomma, ne sapeva abbastanza per buttar giù una quarantina di paginette parodistiche e impietose per un piccolo «studio psicologico sul successo da esibizionismo». Vanitas vanitatum et omnia vanitas.
L’Elogio di Berto era (ed è), a detta di chi glielo commissionò, «bellissimo» ed «eccellente», ma – come scrisse all’autore il direttore letterario della Rizzoli – «i nomi e i fatti contemporanei che tu citi qualche volta (pochi, per fortuna) stonano un tantino in un discorso tanto acuto e universale». E, guarda caso, il dattiloscritto andò perduto… Fino al 2006, quando una copia fu trovata fra le carte di Giancarlo Vigorelli, il quale avrebbe dovuto scriverne la prefazione. Uscito in un’edizione fuori commercio voluta dalla vedova di Berto, Emanuela (che non ha mai creduto allo «smarrimento»…), di cui un breve estratto apparve sul Corriere della sera nel 2007, ora il testo viene pubblicato integralmente dalle Edizioni Settecolori di Manuel Grillo, figlio di Pino, storico editore «ai margini dei confini del lecito consorzio perbenista» (naturalmente democratico), ed è stato presentato ieri al Salone del Libro – in attesa che sia distribuito nei prossimi mesi in libreria – da Pietrangelo Buttafuoco, un perfetto Giuseppe Berto dei nostri tempi, e Cesare De Michelis, un critico sufficientemente dandy per capire tutti i pericoli della vanità.
Eccolo il libro più bello (che ancora non c’è) del Salone (che ne ha troppi): ironico, graffiante, in-attuale, irregolare, scorretto (quella «specie di cialtrone di genio» di Pasolini, quella «incredibile cravatta d’angora viola di Carlo Levi»…) buttato lì per rabbia e per scherzo da uno che scriveva non per avere successo, ma per cercare la grazia di sopravvivere alla propria vita. Questa pubblicazione, cinquant’anni dopo, dimostra che la trovò.
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