DI MARIA GRAZIA PICCALUGA – LA PROVINCIA PAVESE – 7 LUGLIO 2023
LA CASA EDITRICE SETTECOLORI HA ACQUISITO I DIRITTI DA GALLIMARD. SOLINAS: «UNA STORIA DA RILEGGERE PER CAPIRE MEGLIO IL PRESENTE»
Carlo V è ombroso di carattere, ha un fisico infelice, un’anima religiosa e insieme lacerata dai dubbi. L’esatto opposto di chi, come Francesco I, è alto e forte, scrive poesie, ama la cultura e la bellezza, il rischio e la gloria. A tracciare, con la maestria di un pittore, i ritratti dei due sovrani che 500 anni fa mossero i fili che cambiarono le sorti dell’Europa, è Jean Giono, scrittore francese con padre italiano (Manosque 1920 – 1970). Il suo Le disastre de Pavie, pubblicato nel 1963 da Gallimard, è forse meno noto dell’Ussaro sul tetto o dell’Uomo che piantava gli alberi. Eppure non meno prezioso per gli storici. Con quella sua maniacale attenzione per i dettagli, estrapolati come un miniatore da numerose fonti, il lavoro di Giono va considerato – scrive Franco Cardini – «un romanzo storico a tratti puntigliosamente, quasi pedantemente fedele ai particolari dei numerosi personaggi e dei fitti eventi militari e non». A 60 anni dalla pubblicazione e a ridosso dell’anniver-ario della Battaglia di Pavia (500 anni da quel 25 febbra-io 1525) Settecolori , casa editrice nata negli anni Settanta tra Milano e Vibo Valentia, è in libreria da oggi con la riedizione (in italiano) de Il disastro di Pavia, nella collana Di là dal fiume e tra gli alberi (380 pagine, 25 euro). «Abbiamo comprato i diritti da Gallimard su suggerimento di Giuseppe Scaraffia, francesista e saggista – racconta il direttore editoriale Stenio Solinas, un lungo trascorso da giornalista e saggista – Avevo letto il libro molti anni fa e l’ho ripreso per curiosità, scoprendo invece la sua attualità. Si dice sempre che la storia è maestra di vita, anche se poi ce ne dimentichiamo». «UN MONITO ATTUALE» Il disastro di Pavia narra la più romanzesca delle storie reali, sullo sfondo di quell’Italia rinascimentale che mai come allora è al massimo della sua gloria artistica e della sua debolezza politica. La riedizione è curata da Giuseppe Scaraffia, con postfazione di Franco Cardini e traduzione di Franco Pierno. «Questo libro ha due pregi – sottolinea Solinas –. Il primo riguarda l’autore, un grande romanziere con a sua volta una storia personale avvincente. Il secondo sta nell’essere un affresco putuale dell’Italia del Rinascimento, con i Comuni e le Signorie che stringono e disfano accordi per contrastare grandi potenze come Francia e Spagna, interessate alla nostra penisola. L’Italia a quel tempo se la contendevano tutti, tanto era ricca di cultura e affascinante per lo straniero. Se vogliamo, questa vicenda offre un insegnamento, in un momento delicato come quello che stiamo attraversando: gli stati da soli sono deboli, una federazione garantisce forza. Spesso però ce lo dimentichiamo». Jean Giono ha attinto alle numerose fonti disponibili. «Per più di sei mesi, dopo il 24 febbraio 1525, tutti quelli che sanno maneggiare una penna, un pennello o una spola da telaio raccontano la battaglia di Pavia. La notizia arrivò persino in Cina» scrive Jean Giono. Al contrario degli accademici, sapeva però che non bisogna confondere quello che quattrocento anni dopo sembra importante con quello che ci sembra importante oggi». Per avvicinarsi il più fedelmente possibile alla storia Jean Giono era venuto per ben due volte a Pavia alla fine degli anni Cinquanta. E ha consultato tutte le memorie esistenti e disponibili, a cominciare da quelle di Blaise de Monluc. Affascinato dai particolari. Nelle sue pagine le storie sostituiscono sempre la Storia con la S maiuscola. Preferiva soffermarsi sulle vicende individuali, sui dettagli degli equipaggiamenti o dei viveri più che sulla battaglia. E dunque scende in Italia – che ha sempre molto amato – per verificare la geografia, i luoghi, il contesto in cui si svolsero gli scontri, luoghi seppur molto diversi dall’epoca. «All’origine, il parco di Mirabello non era piantato completamente a pioppi – annota nel libro – in seguito, fu anche livellato e irrigato (…) Nel 1525, era una zona leggermente ondulata. C’erano dunque dei grandi spazi scoperti, ma erano malagevoli o impraticabili in caso di pioggia o di disgelo. Possono essere localizzati ancora su entrambi i lati della Vernavola». Lo scrittore francese non manca di visitare la Cascina Repentita: «E’ oggi una grande fattoria – scriveva –: tre lati di edifici abitati dai braccianti e dalle loro famiglie chiudono un cortile (…). Nel muro di sinistra, entrando, si vedono ancora i resti di un piccolo caminetto, forse proprio quello in cui vuole la leggenda sia stata cucinata per Francesco I quella famosa e tonificante zuppa che d’allora viene chiamata Zuppa pavese (uova strapazzate in brodo). Curiosamente è, secondo la tradizione, raccomandata ai corteggiatori timidi: pare infatti che abbia la virtù di dare forza in caso di mancamenti».
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